sabato 31 agosto 2024

1600-1850: venduta la neve di Roccamorice e di Lettomanoppello

A cura di Giuseppe Ferrante

La presenza dei nivieri sulla Maiella è attestata già a partire dal 1600. Si tratta di lavoratori specializzati nel prelievo, nel trasporto e nello stoccaggio della neve a fini commerciali. La neve veniva prelevata da luoghi chiamati niviere dove l’accumulo era maggiore e la durata dell’innevamento era più lungo per la minore esposizione al sole. Per evitare che si sciogliesse, la neve veniva condotta in grotte naturali, oppure in buche scavate a diverse decine di metri di profondità per creare luoghi freschi adatti alla custodia. 


Diverse testimonianze riportano informazioni circa un mercato fiorente, con un repertorio di delibere, leggi, documenti vari, che regolamentavano la commercializzazione della neve. Infatti oltre ai legali titolari delle niviere, molti erano quelli che contrabbandavano la neve rischiando sanzioni pecuniarie o addirittura l’incarcerazione. 

Tra il 1806 e il 1815, periodo della dominazione francese del regno di Napoli, furono istituiti il Decurionato e l’Intendenza, che disciplinavano anche il commercio della neve. In quegli anni tra i centri maggiori segnalati sulla Maiella dove la neve veniva raccolta e stoccata figuravano Lettomoppello e Roccamorice. Un carteggio del 1656 riporta l’aggiudicazione del prelievo di neve alla nobile famiglia dei Dario, baroni che sono stati anche titolari del castello di Lettomanoppello. Altra curiosità è la località di montagna situata tra Lettomanoppello e Serramonacesca denominata Niviera, che alcuni lettesi riferiscono essere stata frequentata fino alla metà dell’800 per la raccolta della neve.

 
 

La pietra della Maiella, Nicola da Guardiagrele, Gabriele D'Annunzio e gli scalpellini di Lettomanoppello

 A cura di Giuseppe Ferrante

Da un carteggio datato 7 marzo 1456 e rintracciato presso il Capitolo della cattedrale di Ascoli, che consiste in un contratto per la realizzazione di un arredo sacro da montare all’interno della cattedrale ascolana, si legge che l’opera doveva essere realizzata con la “preta della montagna Magella secundo lu designo a lui dato”. E a ricevere questo disegno e l’incarico di eseguire i lavori fu Nicola da Guardiagrele, citato sempre nello stesso documento come Mastro Nicola “de argentis de Guardiagrelis”. La pietra della Maiella, dunque, era molto ricercata già a partire dal '400, soprattutto la variante cosiddetta bianca. Il carteggio di Ascoli ci conferma, inoltre, come il grande orafo abruzzese Nicola da Guardiagrele fosse abile anche nella lavorazione della pietra, soprattutto della Maiella, tanto che in altri documenti Nicola da Guardiagrele é definito “ragionevole maestro nella scultura”. Questa breve ricostruzione consente di aggiungere un ulteriore prezioso tassello alla storia della Pietra della Maiella

La particolare pietra, infatti, trova sulla Maiella una formidabile coincidenza di espressioni, che hanno favorito nel corso dei secoli la nascita di un vincolo dai connotati antropologici unici e difficilmente riscontrabili altrove. Gli scalpellini della Maiella, con la loro storia, sono stati i testimoni di come il patrimonio stratificato sul territorio abbia generato un saldo legame tra uomo, ambiente e identità. Abbateggio, Roccamorice, ma soprattutto San Valentino e Lettomanoppello sono stati i centri della più fiorente tradizione legata alla pietra della "Magella". In particolare, a Lettomanoppello, si è affermata una congrega di scalpellini, lapicidi, cavatori, che hanno dato vita a delle botteghe e a un circuito economico assai rilevante. 

Un ruolo importante legato al lavoro degli scalpellini veniva ricoperto dai trasportatori dei massi cavati. E' in questo modo che nel 1933 il governo arriva a finanziare la strada degli scalpellini di Lettomanoppello con un contributo diretto per rendere più facile il trasporto dei blocchi di pietra dalle cave che si trovavano verso la montagna. Dopo l’apertura della strada fu più agevole il passaggio dei carretti trainati dai bovini, con la materia prima trasportata anche più velocemente verso le botteghe presenti nel centro del paese. Un'immagine puntuale della presenza dei carrettieri impegnati a trasportare la pietra fu restituita da Gabriele D’Annunzio nella raccolta “Le Novelle della Pescara”, dove lo scrittore abruzzese mise in risalto il carattere pittoresco e goliardico dei lettesi. 

In riferimento alla lavorazione della pietra bianca della Maiella è sempre stata enfatizzata la figura dello scalpellino. Questi artigiani, infatti, erano i referenti principali per una committenza che spesso era anche abbastanza facoltosa. Dietro il lavoro dei maestri artigiani, però, c’era tutta una preparazione preliminare che prevedeva l’impiego di una figura specializzata e forse più importante degli scalpellini stessi. Si tratta dei cavatori, maestranze dedite all’approvvigionamento della materia prima da fornire alle botteghe. Cavare la pietra, infatti, era un lavoro molto impegnativo e pericoloso, ma soprattutto importante per la scelta della pietra migliore. I cavatori, forti della loro esperienza, erano in grado di riconoscere le pietre migliori per essere scalpellate. Questo peculiare esercizio veniva condotto con l’osservazione a vista dei massi, per valutare in base al colore o alla presenza di venature la predisposizione alla lavorazione. Il cavatore utilizzava anche dei piccoli arnesi metallici: bastava dare dei colpi sulla superficie lapidea per capire dal rumore se quella pietra poteva essere davvero utile allo scalpellino. Questa particolare attitudine dei cavatori si acquisiva con decenni di esperienza e saper “leggere” o “ascoltare” la pietra era un segreto che, esattamente come la tecnica legata al lavoro con lo scalpello, veniva tramandato da padre in figlio.

Visitando le vecchie cave della pietra della Maiella, si rintracciano i segni della fatica, gli scarti della produzione che le donne smaltivano con delle ceste di vimini, oppure alcuni tipi di punteruoli impiegati per spaccare la pietra dalla montagna chiamati pinciotti. 


Strumenti musicali, balli e canti della "Città della Maiella"

A cura di Giuseppe Ferrante

Negli ultimi tempi sono state condotte delle ricerche nel tentativo di recuperare il repertorio degli strumenti musicali, dei balli e dei canti popolari dei vari paesi dell'area pedemontana della Maiella pescarese. Nei centri ricompresi nella “Città della Maiella” sono stati rintracciati elementi di interesse storico legati a dei balli antichi tipici della regione Abruzzo, che in ambito locale hanno evidenziato caratteri originali. Si tratta della saltarella e della più antica ballarella, due danze praticate in occasioni di feste e ricorrenze popolari di ambito profano, che attraverso una sorta di rituale, nel quale l'uomo iniziava la danza, avevano scopo di corteggiamento.

Importante è anche la presenza di strumenti musicali realizzati con materiale a volte costituito da scarti di lavorazione del legno o ricavati da altri arbusti come la canna. Presente un po' ovunque sulla Maiella e con diverse varianti è il calascione, uno strumento a corda simile alle moderne chitarre. La sua forma presentava delle varianti nella cassa che poteva essere piatta o bombata. Questa differenza tipologica, seppur possa apparire come una preferenza stilistica legata al suono, è in realtà una scelta obbligata dal tipo di legno utilizzato, di norma il pioppo. Il calascione aveva quattro corde ricavate dalle budella essiccate degli animali.

Il secondo strumento tipico e tra i più diffusi fino alla metà del '900 era il tamburello, anch'esso presente nell'intera area della Maiella, ma caratterizzato da alcune varianti distinte per dimensioni e disposizione dei sonagli. A proposito di questo strumento, va precisato che il tamburello di Abbateggio era differente da quelli di Lettomanoppello, Roccamorice e degli altri paesi circostanti per le dimensioni: aveva un diametro di circa 28-29 cm e una profondità di circa 8 cm che ne facevano uno dei più piccoli. La prassi costruttiva invece era la stessa per tutti i tipi. La parte in legno circolare era derivata da un setaccio della farina sul quale veniva estesa la pelle, che poteva essere di pecora o capra, ma anche di tasso. Sull'anello circolare di legno erano praticate delle aperture per inserire dei sonagli di latta, tenuti insieme da filo di ferro. Il tamburello era molto diffuso, in quanto si utilizzava per accompagnare le danze della saltarella e della ballarella.

Accanto al calascione e al tamburello vi erano altri strumenti detti "minori", piccoli oggetti realizzati per diletto da pastori e contadini mentre erano al lavoro. La scupine era ottenuta con la vescica di un maiale adeguatamente lavorata e trattata per realizzare un sacchetto sul quale si innestava un soffiatoio in canna. In questo modo si realizzava uno strumento a fiato di piccole dimensione simile alla zampogna. Sempre tra gli strumenti a fiato molto particolare era lu ciuffularelle, un flauto ricavato dalla canna oppure dal legno, che poteva avere 5 o 6 fori; esisteva anche una variante, che però veniva suonata di traverso, chiamata lu fraule. 

Fino agli anni '30 del '900 è attestata la presenza di un collettivo itinerante sulla Maiella, che eseguiva con gli strumenti tradizionali sia l'accompagnamento dei riti sacri durante le feste patronali, sia i balli e i tipici canti della tradizione abruzzese e
delle feste profane.


giovedì 29 agosto 2024

San Donato: il culto, il male, la devozione

A cura di Giuseppe Ferrante

Una figura a cui le popolazioni dell’Italia meridionale sono state profondamente legate da forme devozionali espresse con impressionanti azioni rituali è certamente quella di San Donato, martirizzato con la decapitazione nel 362 dopo Cristo, quando era vescovo della città di Arezzo. Il suo culto, perciò, si diffuse largamente in Italia a partire dai primi secoli del Medioevo, con una maggiore presenza al sud e, quindi, anche in Abruzzo dove oltre alle numerose chiese, cappelle, e altri luoghi sacri, si annoverano anche tutta una serie di manufatti artistici dedicati al santo.



A San Valentino si trova una chiesa dedicata al santo collocata poco fuori il paese, mentre a Roccamorice, oltre alla chiesa dedicata a San Donato situata nel pieno centro storico del paese, viene custodita anche una bella statua lignea che raffigura il santo nell’atto di benedire. Si tratta di un mezzo busto dipinto databile al ‘700 che reca anche alcuni simboli come il pastorale, un libro e la palma, che ci ricorda il martirio subito per mano dell’imperatore Giuliano l’Apostata. 

Da sempre supplicato per ottenere la protezione o la guarigione dalle malattie nervose, dalle convulsioni e dall’epilessia, San Donato è stato tanto invocato quanto temuto, anche in considerazione del fatto che egli stesso era “portatore” del cosiddetto “Male di San Donato”. Esiste un vasto repertorio di credenze popolari che hanno alimentato riti e invocazioni esercitate soprattutto nel giorno di festa dedicato al santo che è il 7 agosto, che rimandano ad un'origine antica collegata anche con le fasi lunari e credenze astrali e demoniache. In passato due rituali sono stati predominanti: quello della pesatura consistente nell’offrire a San Donato tanto grano quanto il peso del malato per cui si chiedeva la sua intercessione, con la pesa effettuata al cospetto della statua del santo; il secondo rito, invece, è quello della svestizione, ossia i malati venivano spogliati davanti al santo per propiziare la guarigione togliendo i vecchi vestiti e facendo indossare loro di nuovi.

Di grande impatto, infine, sono state le partecipazioni dei malati o anche di persone colpite da strane forme di isteria collettiva coincidenti col giorno festivo del 7 agosto, che al cospetto di San Donato si rendevano protagoniste di percuotimenti corporali, di svenimenti, di particolari stati di trance psicofisica, o che recitavano preghiere e invocazioni anche con una certa pretesa al fine di ottenere la guarigione per se o per un famigliare. Altra usanza, infine, era quella di affiancare al nome di battesimo anche il nome Donato a chi avesse ricevuto la grazia della guarigione.




 

martedì 27 agosto 2024

Il culto delle pietre: alcuni casi della "Città della Maiella"

A cura di Giuseppe Ferrante

La litoterapia è una pratica antichissima e consiste nel “curarsi” facendo ricorso alle pietre. Cercare la guarigione, scacciare il male, trovare un conforto spirituale, fare penitenza: sono queste le motivazioni che hanno spinto in passato i fedeli a strofinarsi sulle pietre o dormire all’interno delle grotte sacre e degli eremi. Le proprietà curative, infatti, venivano propiziate attraverso degli esercizi da compiere al cospetto dei santi nei luoghi sacri. Si credeva, infatti, che una roccia, una pietra, la parete di una grotta, associati alla presenza dei santi, potevano avere benefici sulla salute. 

La prova tangibile dell’avvenuta presenza di un santo è quasi sempre legata ai pignora, ossia la convinzione di poter osservare le tracce impresse sulla pietra dal passaggio del santo, oppure da apparizioni avvenute in grotte, anfratti rocciosi e dirupi. Non mancano, inoltre, le venerazioni di reliquie corporali o anche di oggetti appartenuti al santo. Per questi motivi le pietre capaci di “far guarire” dai malanni sono state in passato accostate a santi legati a determinati luoghi e venerati attraverso un repertorio molto ampio di pratiche cultuali. Come accennato in precedenza, tra queste annoveriamo l’incubatio, ossia la pratica di dormire sulle pietre ritenute sacre, e lo strofinamento che consistente nel toccare con il corpo le pietre. In Abruzzo, e sulla Maiella in particolare, ci sono diversi esempi di litoterapia riferiti soprattutto a San Venanzio, all’Arcangelo Michele e agli eremi celestiniani.

 

Per la grotta del San Michele Arcangelo di Lettomanoppello sono state attestante frequentazioni da parte di fedeli in cerca di buona salute attraverso lo strofinamento di parti del corpo doloranti sulle pietre della grotta al fine di propiziare una migliore condizione fisica. Ciò è riportato da testimonianze che riferiscono per la grotta lettese anche della presenza del letto di San Michele, con un corredo di stoffe e cuscini. Su questo letto, secondo i racconti popolari, andavano a coricarsi i fedeli alla ricerca del contatto con la pietra recante le tracce di San Michele.

Gli abitanti di Roccamorice e Abbateggio il 25 agosto di ogni anno si recano in pellegrinaggio al vicino eremo di San Bartolomeo attraverso due distinti sentieri che secondo la tradizione sono stati creati proprio per volontà del santo. Dal lato di Roccamorice il sentiero è caratterizzato da una scala santa, mentre dal lato di Abbateggio si passa sopra di un torrente attraverso un miracoloso ponte naturale formato da un unico enorme masso squadrato e tenuto in posizione da una macera di piccole pietre. Anche a San Bartolomeo è legato un rito di strofinamento che i pellegrini effettuano direttamente sulla statua del santo oltre che sulle pietre, con lo scopo di guarire o conservarsi in buona salute.





domenica 25 agosto 2024

La Virgo Lactans di Roccamorice

A cura di Giuseppe Ferrante

La Madonna del Latte è certamente una tra le iconografie mariane più ricorrenti della storia dell’arte. Queste rappresentazioni, che colgono la Vergine nel momento dell’allattamento, sono diffuse in buon numero anche in Abruzzo. Un bell’esempio proviene da Roccamorice, dove presso la chiesa parrocchiale di San Donato, può essere ammirata la tela di una Madonna del Latte datata al Quattrocento.

La vergine di Roccamorice è raffigurata leggermente di tre quarti con in braccio il Figlio mentre viene allattato. Tra gli altri elementi iconografici compaiono un sole ritratto all’altezza del cuore di Maria e due stelle che invece sono visibili sullo sfondo dipinto dove è presente anche l’iscrizione  “Ave Maria”.

Sono proprio i simboli e i colori presenti in questa tela che contribuiscono ad impreziosire il suo significato, che non è soltanto quello di mostrare una donna che allatta il proprio il figlio, ma di ribadire il dogma della divina e pura maternità della Madonna, cioè che Maria è davvero la madre di Dio. 

La veste rossa (come lo sfondo), infatti, sta a simboleggiare la divina maternità di Maria, mentre il mantello blu con le stelle raffigurate sullo sfondo rappresentano la sua perpetua verginità. Il sole sul petto, invece, rimanda all’immagine tradizionale per cui la Madonna è l’aurora che dona al mondo il sole, cioè Gesù. Il Bambino è abbigliato di bianco, colore che rimanda alla divinità come nel racconto della trasfigurazione, in cui le vesti di Cristo diventano “bianche come la neve”.

In epoca medievale le rappresentazioni della Virgo Lactans hanno conosciuto una larga diffusione, anche in contrapposizione alle eresie che mettevano in dubbio la natura umana di Cristo, con un piano iconografico abbastanza ricorrente: la Vergine viene ritratta a seno nudo mentre allatta, oppure mentre è in procinto di farlo. Non di rado viene dipinto anche il latte che fuoriesce dal seno. Non va dimenticato, inoltre, che anche sulla divina maternità di Maria erano state avanzate congetture da Nestorio di Costantinopoli, in seguito confutate nel Concilio di Efeso del 431. Anche in considerazione di quanto appena affermato, le immagini di Maria in posa col Bambino ebbero un grande successo e contribuirono a riaffermare presso i fedeli il ruolo della maternità divina di Maria. La Vergine, quindi, è la Madre di Dio, e l’iconografia della Madonna del Latte, che inizia a diffondersi dal nord Africa già a partire dal VI secolo ne decretarono anche il ruolo di Patrona delle puerpere e della maternità in genere.

giovedì 22 agosto 2024

I ritrovamenti archeologici di Turrivalignani

 A cura di Giuseppe Ferrante

Il quadro restituito dai ritrovamenti archeologici avvenuti sul territorio di Turrivalignani appare di particolare interesse. Per il periodo italico la ricostruzione storica si basa principalmente sulle fonti letterarie; i riscontri materiali, infatti, risultano quasi del tutto assenti eccetto alcuni deboli ritrovamenti che attesterebbero un luogo di culto antico presso località Colle Luce. Tuttavia è possibile ipotizzare per Turrivalignani delle frequentazioni già dall’età preromana, quando si definiscono ulteriormente i caratteri politici e culturali delle popolazioni che fino a quel momento avevano vissuto nel territorio dell’attuale Abruzzo, e di cui le fonti storiche di età romana trasmettono i nomi e le caratteristiche. I Marrucini erano stanziati tra le gole di Popoli e l’odierna Pescara e anche le emergenze archeologiche sembrano indicare per i territori della Val Pescara un’appartenenza marrucina. Ancora presente è il popolamento montano, come indica il poeta romano Stazio, che parla della Maiella come montagna abitata dai Marrucini. Il geografo Strabone, invece, riferisce che, nell’occupare la vallata del fiume Aternum, questa stirpe continuava a vivere in villaggi sparsi, il cui centro di riferimento era la città di Teate (Chieti). Da quanto appena esposto ne consegue che anche il territorio che corrisponde all'attuale Turrivalignani apparteneva ai Marrucini.

Per l'epoca romana, invece, i reperti archeologici rintracciati a Turrivalignani sono più cospicui e consentono di delineare un quadro più preciso. I primi ritrovamenti risalgono al tempo della costruzione della strada Pescara-Popoli, quando venne alla luce un tesoretto con una ventina di monete d'argento risalenti all'età imperiale. Sempre all'età imperiale sono attestati altri oggetti rinvenuti in seguito in alcuni complessi sepolcrali dove sono stati ritrovati un'urna, una lucerna bronzea e alcune lastre recanti delle iscrizioni contenti informazioni su un tale Aradius Saturnius, una Settimia Severa e su una Iulia Filia Iulii Caesar. Di recente, in località Le Macine, sono emersi altri resti presumibilmente di una villa romana.


 

 

 


martedì 20 agosto 2024

Il culto delle acque: alcuni esempi nella "Città della Maiella"

 A cura di Giuseppe Ferrante

In diversi centri della “Città della Maiella” sono attestati riti e consuetudini devozionali correlati al culto delle acque. 

Fonte Marte
A volte l’accostamento dell’acqua alla divinità è suggerita dalla nomenclatura dei luoghi, come nel caso di Lettomanoppello dove è presente una sorgente a cui è legato il toponimo Fonte Marte, divinità che già in epoca preromana veniva associata alle saette, ai tuoni e alle piogge, oltre ad essere invocata per propiziare la fertilità dei campi.

Un’altra divinità molto venerata nell’Abruzzo antico è Ercole, protettore dei pastori, delle greggi, della transumanza e degli spostamenti in genere. Ad Ercole si ricorreva anche per il dono dell’acqua che rappresentava per la pratica della pastorizia una risorsa fondamentale. Anche per questi motivi, molti santuari dedicati ad Ercole non solo erano connessi a delle sorgenti, ma avevano la funzione di ricovero per gli armenti in viaggio.

Con la cristianizzazione del territorio normalmente i luoghi di culto pagani non vengono obliterati, ma semplicemente intitolati a santi cristiani. È il caso di Fonte Sant’Agata di Abbateggio, protettrice delle balie e depositaria di una forte devozione. Negli anni addietro, le pratiche rituali connesse al culto di Agata avevano un’origine che si ricollegava direttamente alle divinità dell’abbondanza e della fertilità di epoca italica e romana. Ad Abbateggio è attestata la consuetudine dei bagni propiziatori che le donne gravide o che dovevano allattare eseguivano nella fontana che sorgeva accanto alla chiesa dedicata alla santa. La tradizione vuole che le donne, mentre si recavano a compiere questo rito, dovevano donare ai passanti che incontravano cibi o bevande precedentemente preparate. Giunte alla fontana sorseggiavano l’acqua ritenuta miracolosa, si bagnavano il petto e recitavano delle preghiere e delle invocazioni a Sant’Agata. Sulla Maiella il rito di Sant’Agata era molto diffuso e ad Abbateggio solo da pochi decenni è cessato, tanto che i più anziani ricordano bene questa antica pratica e la forte venerazione che veniva rivolta alla santa protettrice delle donne che allattano.

Nei pressi di Caramanico esistono pratiche devozionali legate a pozzi e sorgenti. All’interno della chiesa di San Tommaso Becket, infatti, è presente un pozzo ritenuto sacro le cui acque avrebbero potere taumaturgico, mentre per curare la malaria la popolazione locale ha fatto ricorso alla miracolosa acqua della grotta di San Cataldo sul fiume Orfento.

Le acque sgorganti dalle rocce e vicino alle grotte sono state sempre associate a miracoli benefici per la salute, come quella dell’eremo di Sant’Onofrio a Serramonacesca o della sorgente del Garzillo nei pressi della grotta di San Michele Arcangelo a Lettomanoppello, che ci ricorda come anche la figura dell’Arcangelo Michele è strettamente connessa al culto delle acque.

Nel territorio preso in esame, infine, è curiosa la presenza di due fonti legate a Celestino V. La Fonte del Papa di Lettomanoppello è da sempre accostata alla figura di Pietro da Morrone e si ritiene che le sue acque abbiano effetti benefici sulla salute e contro le forze del male, mentre a Roccamorice è presente la Fonte del Catenaccio che, secondo la credenza popolare, sarebbe stata propiziata da Celestino V percuotendo la roccia con il catenaccio utilizzato per chiudere le porte dell'eremo di San Bartolomeo in Legio.


domenica 18 agosto 2024

Ad Abbateggio ritrovato un tempio dedicato ad Ercole

 A Cura di Giuseppe Ferrante

In località Colle di Gotte di Abbateggio nel 2008 sono stati rinvenuti i resti di un tempietto dedicato ad Ercole. Durante i lavori di aratura nei campi di proprietà del signor Giacinto Scipione sono emersi in maniera fortuita una statuina bronzea di Ercole e frammenti lapidei modanati. Successivamente la soprintendenza archeologica dell’Abruzzo ha avviato una campagna di scavo che ha permesso di portare alla luce strutture pertinenti al luogo di culto. In particolare sono stati ritrovati la parte inferiore di un busto di statua in calcare con una testina di minori dimensioni fra le gambe, oltre alla mano con sei dita, che consente di riconoscere nella figura il dio Ercole. 

La presenza di questa divinità è attestata in diverse zone delle colline della Maiella in quanto le abitazioni sparse, sia in età italica che nel successivo periodo romano, si sviluppavano attorno a dei santuari rurali. 

La figura di Ercole veniva rappresentata di solito nelle sembianze di un giovane dal fisico robusto armato di bastone e intento a colpire, e veniva associata dagli italici alla forza fisica e al valore militare. Ma il ruolo attribuito a questa divinità non è soltanto quella dell’eroe virile, perché all’interno di una diffusione capillare sul territorio spesso era associato alla protezione delle sorgenti, dei commerci, delle greggi e dei viaggiatori. Come testimonia il considerevole numero di statuine votive ritrovate, la venerazione per Ercole era molto sentita e il suo culto continuò ad essere praticato anche presso i romani. Tale successo può essere rintracciato in autori antichi come Diodoro e Macrobio, che ambientano in Italia le gesta eroiche di Ercole. 

Anche sulla Maiella questa divinità è stata associata alla protezione delle sorgenti, delle fonti e delle greggi, e ciò ha permesso di affermare che questo dio veniva invocato con una precisa connotazione agricolo-pastorale, con l’intento di incrementare e proteggere le greggi e la transumanza. La presenza a Colle di Gotte del luogo di culto dedicato ad Ercole testimonia come anche la pratica dell’allevamento esprimesse un richiamo alla fecondità attraverso rituali legati al territorio. Le vie della transumanza, le sorgenti e le fonti venivano sacralizzate con l’intenzione di ottenere protezione e prosperità, e proprio ad Abbateggio ciò trova una straordinaria conferma.


sabato 17 agosto 2024

Il distretto minerario della Maiella

 A cura di Giuseppe Ferrante

Sul territorio della Maiella occidentale esistono importanti testimonianze di archeologia industriale e diverse fonti storiche riportano notizie circa l’estrazione del minerale bituminoso dai giacimenti presenti nei dintorni. Lo storico Michele Tenore, nel suo Viaggio in Abruzzo Citeriore nell’estate del 1831, riporta che lungo le vallate dei fiumi Lavino e Lejo era possibile osservare, trasportati dalle acque, grossi massi impregnati di bitume che riaffiorava dalla viscere della montagna. Sempre Michele Tenore sottolineò che gli abitanti del posto raccoglievano queste sostanze oleose per utilizzarle come pece.

La conoscenza del sottosuolo della Maiella e delle sue risorse risalgono al periodo romano, come testimonia un panetto di asfalto iscritto ritrovato in zona, che conferma come in età romana anche in Abruzzo fosse praticata la lavorazione degli idrocarburi. Lungo la vallata del fiume Lavino, infatti, lo sfruttamento dei giacimenti di bitume presenti nel sottosuolo iniziano fin da subito ad interessare il territorio della Maiella occidentale e degli altri siti che un tempo erano sotto la giurisdizione di Interpromium. L’avvio dell’estrazione e della lavorazione del minerale asfaltifero era necessario per impermeabilizzare il fondo delle navi che i romani tenevano ormeggiate nel porto della vicina Aternum, l’attuale Pescara.

L'industria asfaltifera della Maiella è stata molto importante per l'intero fabbisogno nazionale, tanto che fino agli anni '60 il distretto minerario ricompreso nei comuni di Abbateggio, Manoppello, Lettomanoppello, Roccamorice, San Valentino in Abruzzo Citeriore e Scafa forniva circa il 40% della produzione italiana.

La prima attività estrattiva del bitume della Maiella con metodologie industriali avvenne nel 1844 per iniziativa di Silvestro Petrini. L'imprenditore abruzzese, infatti, aveva condotto delle ricerche sul campo sin dal 1840, e nel 1844 impiantò uno stabilimento per la lavorazione del petrolio e degli asfalti partendo con un capitale sociale di 40.000 lire. Dall’iniziativa di Silvestro Petrini prese avvio una stagione di grande sviluppo industriale con la costruzione di fabbriche, ferrovie per il trasporto del materiale, teleferiche, centrali elettriche e vennero coinvolte società italiane, tedesche, inglesi, svizzere, che di volta in volta entrarono in possesso delle licenze minerarie per lo sfruttamento delle risorse.


martedì 13 agosto 2024

La Fonte del Papa di Lettomanoppello, Celestino V e la famiglia De Lecto.

A cura di Giuseppe Ferrante

Appena sopra il borgo di Lettomanoppello è situata la storica Fonte del Papa, che può essere raggiunta con una comoda via recentemente asfaltata accessibile direttamente dalla strada statale che conduce alla Maielletta.

Quanto alla dedica, risulta radicato da tempo immemore presso la popolazione locale il riferimento a Celestino V che fu papa dal 29 agosto 1294 al 13 dicembre dello stesso anno; tale venerazione da parte dei lettesi è stata espressa in passato anche attraverso l’adozione di usanze a carattere devozionale. Infatti, diverse testimonianze che si fanno purtroppo sempre più rarefatte e rintracciabili solo presso la popolazione più anziana attribuiscono all’acqua della Fonte del Papa proprietà miracolose, curative e apotropaiche.

A quanto appena illustrato va aggiunto che, in effetti, la prossimità di Fonte del Papa a due importanti sedi ecclesiastiche possedute dai Celestini e adiacenti al territorio di Lettomanoppello ha contribuito ad avvalorare Celestino V come il Papa referente di questa dedica.

Infatti, la chiesa di San Giorgio, vicino al torrente Sant’Angelo che scorre al confine con Roccamorice, fu da subito possedimento dell’ordine, mentre il monastero di San Pietro di Vallebona nei pressi del confine con Manoppello venne incorporato dall’ordine dei Celestini nel 1285. Entrambe queste sedi ecclesiastiche non distano molto dalla Fonte del Papa, che è collocata proprio lungo la traccia un tempo percorsa dai monaci che si spostavano tra Vallebona e San Giorgio. D’altra parte, la storia dei Celestini ha legami profondi con il comprensorio della parte occidentale della Maiella, che rimandano all’istituzione dell’ordine nelle vicine valli dell’Orfento e di Santo Spirito, dove sorgono i più famosi eremi legati a Pietro Angelerio.

I presunti legami di Celestino con Lettomanoppello non si devono solo alla Fonte del Papa, ma da alcuni documenti si apprende che ci sarebbero stati rapporti anche con esponenti della famiglia De Lecto, che in quegli anni erano detentori del Castello di Lettomanoppello. In particolare, Rainaldo De Lecto, che già era nella cerchia dei comandanti di Re Carlo II, fu insignito dei gradi di maresciallo della curia e capo delle truppe papali negli anni di pontificato di Celestino V.

Un altro esponente dei De Lecto, Federico Raimondo, fu nominato direttamente da Celestino V, vescovo della diocesi di Valva, ruolo confermato nel 1295 da Papa Bonifacio VIII. Federico Raimondo De Lecto, inoltre, ricevette in seguito da Papa Clemente V il compito di far parte della commissione deputata ad indagare i miracoli compiuti da Celestino V.

A latere di quanto fin qui esposto appare curiosa un’altra testimonianza che colloca nel territorio preso in esame un altro papa. San Liberatore a Maiella era alle dipendenze del monastero di Montecassino e sappiamo che ricevette particolari attenzioni dall’abate Desiderio, successivamente eletto papa nel 1086 con il nome di Vittore III. Desiderio abate di Montecassino avrebbe soggiornato presso l’abbazia di San Liberatore a Maiella di Serramonacesca, e condotto vita da eremita proprio nei luoghi dove insistono la chiesa di San Giorgio, il Monastero di Vallebona e la Fonte del Papa.

Fonte di Papa, come viene chiamata dai locali, da diverso tempo è meta di chi vuole godere di spazi all’aria aperta in quanto è dotata di un’area pic-nic. In passato, la fonte, è stata utilizzata anche per far abbeverare le pecore dei pastori impegnati nella conduzione delle greggi verso gli alpeggi posti a quote più elevate.



lunedì 12 agosto 2024

Pietre antiche per la ricostruzione dei borghi: alcuni esempi nella "Città della Maiella"

A cura di Giuseppe Ferrante


In diversi centri della “Città della Maiella” è possibile osservare la presenza di pietre antiche reimpiegate negli stessi edifici storici a cui appartenevano, ma decontestualizzate rispetto alla loro originale collocazione. A volte, queste pietre, sono state incastonate anche in edifici più moderni. Tale peculiarità è riscontrabile soprattutto nei centri storici o nei più estesi complessi monumentali come nel caso della recinzione della chiesa di San Tommaso Becket di Caramanico. Questa consuetudine conosciuta come spoliazione è legata all’esigenza di riutilizzare materiale appartenuto a precedenti strutture in quanto il sopraggiungere di eventi traumatici ha portato alla distruzione delle architetture preesistenti. Di conseguenza, la penuria di materia prima, costringeva a ricostruire gli edifici con le pietre già usate in precedenza per la loro realizzazione, senza però poterle riposizionare nelle loro precedenti sedi perché impossibile.


L’area della Maiella è nota per una lunga serie storica di terremoti che in più occasioni hanno causato ingenti danni al patrimonio architettonico. Ma ci sono anche altre cause di distruzione come ad esempio gli assedi e le guerre condotte per reclamare le proprietà dei castelli, come nel caso dell’antico Castello di Lettomanoppello, tanto che il 
“1 settembre 1442, dall’accampamento contro Tocco da Casauria: Re Alfonso I, in considerazione dei gravi danni causati dalle guerre di quegli anni alle Università e agli uomini del castello di Lettomanoppello concede l’esenzione dal pagamento del focatico e di qualsiasi colletta, sia ordinaria, sia straordinaria, per i successivi dieci anni”. I segni dello spoglio a Lettomanoppello sono visibili presso le chiese di San Nicola e di San Pietro.

Lettomanoppello

San Valentino
A san Valentino, invece, è addirittura murata nella chiesa di San Donato una lastra di epoca romana di età imperiale con un'inscrizione dedicata da un tale Marcus Dulius Gallus a Sextus Pedius Lusianus Hirrutus della tribù Arniense di cui viene riportato il cursus honorum. L'iscrizione è molto interessante perché ci attesta che il personaggio di cui si parla apparteneva alla tribù Arniense che è attestata tra Chieti e San Clemente a Casauria, e in più è il finanziatore della costruzione di un anfiteatro, forse quello di Chieti.

Pietre antiche reimpiegate come imposte per delle finestre sono visibili a Roccacaramanico dove è presente una lastra con incisa un'iscrizione in caratteri medievali, ad Abbateggio dove gli elementi in pietra rimandano certamente ad una precedente struttura ecclesiastica per la presenza dei tipici simboli del pellegrino in voga nel Medioevo, e a Roccamorice per la presenza di una bella formella antica.


Abbateggio

Roccacaramanico

Roccamorice


 



giovedì 8 agosto 2024

L' eremo di San Bartolomeo in Legio di Roccamorice

 A Cura di Giuseppe Ferrante

Il passaggio dall'età romana a quella cristiana avviò una fase culturale in cui la consolidata tradizione dei culti pagani diffusi sulla Maiella, come i riti agrari e dell'acqua, e altre pratiche sacre, vennero inglobate dalla nuova religione attraverso un processo sincretico e di riorganizzazione territoriale. Già in età altomedievale, infatti, accanto alla diffusione dei primi ordini monastici, dei conventi e delle abbazie, sorsero una miriade di altri insediamenti dal carattere essenziale e legati alla presenza degli eremiti. Questi uomini vivevano nell'isolamento e si ritiravano in ambienti inaccessibili ed inospitali, dove condizioni estreme rendevano l'esistenza molto dura e faticosa. Gli eremi e i luoghi di culto rupestre sono il frutto di un lavoro avvenuto per mano dell'uomo ma che non ha modificato l'ambiente: ciò rende evidente la grande comunione creatasi tra gli elementi naturali e la discreta presenza umana, e che oggi rappresenta una peculiarità della Maiella. 

L'eremo di San Bartolomeo in Legio si presenta con un alzato murario in pietra incastonato sotto la roccia. L'eremo, infatti, sorge su una spelonca lunga oltre cinquanta metri che si affaccia sull'omonimo vallone di San Bartolomeo. Indagini archeologiche hanno evidenziato la frequentazione di questo luogo già a partire dal Paleolitico, mettendo in luce una continuità nell'occupazione fino al periodo medievale. Attorno agli anni '70 del 1200 fu dimora di Celestino V, che vi soggiornò per breve tempo. 

L'accesso al complesso religioso è dato da un sentiero che dalla Valle Giumentina scende nel vallone di San Bartolomeo e risale verso l'eremo, con un tracciato che termina con una scala santa ricavata dalla roccia. Una seconda via di ingresso, invece, giunge dalla località Macchie di Coco, e termina anch'essa con una scala santa scolpita all'interno della roccia da percorrere in discesa. 

La piccola struttura ha due vani, preceduti da una facciata decorata con affreschi raffiguranti Cristo e la Madonna col Bambino. Nello spazio liturgico, che coincide con la prima stanza, si trova l'altare, su cui è posizionata la statua lignea del santo che tiene in mano i simboli del suo martirio: il coltello e la pelle. L'altra stanza era di servizio e utilizzata dai monaci e dai pellegrini per dormire. All'esterno si trovano piccoli canali scolpiti nella pietra che tutt'oggi drenano l'acqua che sgorga dalla roccia, convogliandola verso delle vasche di raccoglimento.

domenica 4 agosto 2024

Un borgo tra le montagne: la Rocchetta di Caramanico

 A cura di Giuseppe Ferrante

Tra i borghi più suggestivi della "Città della Maiella" occupa un posto di rilievo Roccacaramanico. La storia di questo piccolo centro incastonato tra le montagne è assai peculiare e segue vicende alterne fin dalla sua fondazione. Ritenuta un'unità ecclesiastica autonoma per la presenza in antico di alcune chiese monastiche, il possedimento appartenne a vari feudatari che detenevano anche i castelli di Caramanico, Sant'Eufemia, Salle. Risalgono al XVI secolo una serie di importanti provvedimenti che denotano anche l'importanza del piccolo centro montano, come il riconoscimento di università autonoma e il conferimento della nomina da parte dell'arcivescovo di Chieti per la chiesa madre di Santa Maria della Rocchetta, nota come Santa Maria delle Grazie. 


Nel 1710 la Rocchetta venne rasa al suolo da un terremoto, mentre negli anni successivi fu sede di particolari violenze dovute alla presenza dei briganti nel 1860 circa. A tal proposito è noto come attorno al 1861 il piccolo centro fosse abitato da circa 453 residenti e contava 58 militari della Guardia Nazionale impegnati nella repressione contro il brigantaggio. Le vicende amministrative più recenti segnalano nel 1796 il passaggio da comune autonomo aggregato a quello di Caramanico, mentre attorno agli anni '30 del '900 Roccacaramanico divenne definitivamente frazione di Sant'Eufemia a Maiella. 

Le costruzioni architettoniche e la pavimentazione sono caratterizzate dall'utilizzo della pietra. Risultano ancora ben evidenti le tracce di strutture fortificate soprattutto nella tipologia delle case torri, che ci ricordano per Castrum Rocchettae la sua funzione di controllo e di difesa del vallone posto tra la Maiella e il Morrone.

Di particolare interesse è la presenza di materiale di reimpiego per la ricostruzione degli edifici. Il borgo, infatti, è stato più volte distrutto dalla violenta serie storica di terremoti della Maiella. Tra i vari esempi rintracciabili in loco di riutilizzo di parti architettoniche appartenute a precedenti edifici è una lastra con incisa un'iscrizione in caratteri medievali riutilizzata come imposta per una finestra.






giovedì 1 agosto 2024

Riccardo Morandi progetta il ponte di Salle e non solo...

A cura di Giuseppe Ferrante

La figura di Riccardo Morandi viene ricordata e associata quasi esclusivamente alla tragedia del ponte di Genova crollato nel 2018. Il viadotto, infatti, era stato ideato agli inizi degli anni '60 del '900 dell'incolpevole ingegnere di Roma.

Riccardo Morandi è stato uno dei massimi esponenti della scuola di ingegneria italiana che si è affermata nel secondo dopoguerra come tra le più innovative del panorama internazionale. E' grazie a questa prolifica stagione che gli ingegneri italiani dimostrano di saper coniugare al meglio le esigenze dell'articolazione spaziale rispetto alla funzione. Ed è in questo modo che emergono accanto alle finalità utilitaristiche i segni evidenti di linguaggi espressivi riconoscibili alla stregua di vere e proprie firme d'artista. Formalismo, strutturalismo e funzionalismo, dunque, trovano una perfetta sintesi in grandi opere in cemento armato che non di rado diventano il simbolo del territorio dove sono state installate.

Un esempio di quanto appena esposto è il ponte che l'ingegner Morandi ha previsto agli inizi degli anni '50 per collegare il comune di Salle con quello di Caramanico Terme. Il viadotto venne realizzato tra il 1952 e il 1955 e nel cantiere vennero impiegati molti abitanti dei comuni limitrofi alla vallata dell'Orte, impegnati a realizzare una struttura imponente per l'altezza di circa 104 metri, ma anche per la tipologia a campata unica le cui estremità poggiano su plinti in calcestruzzo incastonati sulla roccia.

Sono numerosi i progetti di Riccardo Morandi dislocati su tutto il territorio nazionale. In Abruzzo, oltre al ponte di Salle, ha progettato lo stabilimento del cementificio di Scafa (ai tempi frazione di San Valentino) realizzato tra il 1953 e il 1955, e il ponte Capograssi di Sulmona (L'Aquila) costruito tra il 1960 e il 1962.