sabato 31 agosto 2024

La pietra della Maiella, Nicola da Guardiagrele, Gabriele D'Annunzio e gli scalpellini di Lettomanoppello

 A cura di Giuseppe Ferrante

Da un carteggio datato 7 marzo 1456 e rintracciato presso il Capitolo della cattedrale di Ascoli, che consiste in un contratto per la realizzazione di un arredo sacro da montare all’interno della cattedrale ascolana, si legge che l’opera doveva essere realizzata con la “preta della montagna Magella secundo lu designo a lui dato”. E a ricevere questo disegno e l’incarico di eseguire i lavori fu Nicola da Guardiagrele, citato sempre nello stesso documento come Mastro Nicola “de argentis de Guardiagrelis”. La pietra della Maiella, dunque, era molto ricercata già a partire dal '400, soprattutto la variante cosiddetta bianca. Il carteggio di Ascoli ci conferma, inoltre, come il grande orafo abruzzese Nicola da Guardiagrele fosse abile anche nella lavorazione della pietra, soprattutto della Maiella, tanto che in altri documenti Nicola da Guardiagrele é definito “ragionevole maestro nella scultura”. Questa breve ricostruzione consente di aggiungere un ulteriore prezioso tassello alla storia della Pietra della Maiella

La particolare pietra, infatti, trova sulla Maiella una formidabile coincidenza di espressioni, che hanno favorito nel corso dei secoli la nascita di un vincolo dai connotati antropologici unici e difficilmente riscontrabili altrove. Gli scalpellini della Maiella, con la loro storia, sono stati i testimoni di come il patrimonio stratificato sul territorio abbia generato un saldo legame tra uomo, ambiente e identità. Abbateggio, Roccamorice, ma soprattutto San Valentino e Lettomanoppello sono stati i centri della più fiorente tradizione legata alla pietra della "Magella". In particolare, a Lettomanoppello, si è affermata una congrega di scalpellini, lapicidi, cavatori, che hanno dato vita a delle botteghe e a un circuito economico assai rilevante. 

Un ruolo importante legato al lavoro degli scalpellini veniva ricoperto dai trasportatori dei massi cavati. E' in questo modo che nel 1933 il governo arriva a finanziare la strada degli scalpellini di Lettomanoppello con un contributo diretto per rendere più facile il trasporto dei blocchi di pietra dalle cave che si trovavano verso la montagna. Dopo l’apertura della strada fu più agevole il passaggio dei carretti trainati dai bovini, con la materia prima trasportata anche più velocemente verso le botteghe presenti nel centro del paese. Un'immagine puntuale della presenza dei carrettieri impegnati a trasportare la pietra fu restituita da Gabriele D’Annunzio nella raccolta “Le Novelle della Pescara”, dove lo scrittore abruzzese mise in risalto il carattere pittoresco e goliardico dei lettesi. 

In riferimento alla lavorazione della pietra bianca della Maiella è sempre stata enfatizzata la figura dello scalpellino. Questi artigiani, infatti, erano i referenti principali per una committenza che spesso era anche abbastanza facoltosa. Dietro il lavoro dei maestri artigiani, però, c’era tutta una preparazione preliminare che prevedeva l’impiego di una figura specializzata e forse più importante degli scalpellini stessi. Si tratta dei cavatori, maestranze dedite all’approvvigionamento della materia prima da fornire alle botteghe. Cavare la pietra, infatti, era un lavoro molto impegnativo e pericoloso, ma soprattutto importante per la scelta della pietra migliore. I cavatori, forti della loro esperienza, erano in grado di riconoscere le pietre migliori per essere scalpellate. Questo peculiare esercizio veniva condotto con l’osservazione a vista dei massi, per valutare in base al colore o alla presenza di venature la predisposizione alla lavorazione. Il cavatore utilizzava anche dei piccoli arnesi metallici: bastava dare dei colpi sulla superficie lapidea per capire dal rumore se quella pietra poteva essere davvero utile allo scalpellino. Questa particolare attitudine dei cavatori si acquisiva con decenni di esperienza e saper “leggere” o “ascoltare” la pietra era un segreto che, esattamente come la tecnica legata al lavoro con lo scalpello, veniva tramandato da padre in figlio.

Visitando le vecchie cave della pietra della Maiella, si rintracciano i segni della fatica, gli scarti della produzione che le donne smaltivano con delle ceste di vimini, oppure alcuni tipi di punteruoli impiegati per spaccare la pietra dalla montagna chiamati pinciotti. 


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